11/20/2008

Sentenza del Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici per Lazio, Toscana ed Umbria n. 697 del 29/05/2008

La sentenza ha ricostruito dettagliatamente la natura, anche etimologica, dell'allodio, partendo dalla sentenza della Cassazione S.U. n.8673/95. Il Commissario ha  dapprima sostenuto che il termine “allodio” è sconosciuto alla latinità classica e, dunque, al diritto romano, per essere invece di origine franco-germanica, termine che nel medioevo indicava, già nell'età merovingia, le terre possedute in proprietà libera in contrapposizione a quelle provenienti da concessione regia; la proprietà allodiale costituiva nei regni barbarici il regime normale fino al diffondersi del feudo. L'allodio, quindi, non va confuso con la proprietà privata dei moderni ordinamenti giuridici propri del code civil del 1806. “Esso è istituto di diritto franco-germanico da porre in stretta correlazione col feudo. Indicava nell'alto medioevo la spettanza piena di terreni in capo ad un uomo libero; ma era destinato ad acquistare uno specifico significato con l'avvento del feudalesimo, perché andava ad indicare l'assenza di oneri feudali su di un terreno. L'infeudamento non comportava l'espropriazione di terre nei confronti di chi le possedeva da uomo libero, ma determinava la sottomissione di costui ad obblighi nei confronti del feudatario derivanti dallo sfruttamento delle terre...omissis...proprio con l'abolizione della feudalità operata nel Regno di Napoli sotto l'influenza francese trova origine l'istituto della demanialità civica che si configura come naturale sbocco della feudalità e quindi correlativo tanto al feudo quanto all'allodio. Le terre già infeudate vanno così a far parte del civico demanio di cui diviene esponente l'appena costituito ente comunale. Del demanio civico sono esclusi i residui allodii. Ecco che l'allodialità assume il significato che qui interessa maggiormente di esclusione dal civico demanio; ma  tale esclusione è determinata da un processo storico e non consiste in una sorte di virtù originaria della cosa e soprattutto non può equipararsi immediatamente alla odierna proprietà privata, perché va invece ricondotta specificatamente alla disciplina agraria dell'epoca che si prende in considerazione [...] Va infine detto che, per altro verso, la stessa proprietà privata dei terreni, per l'ordinamento vigente, art.1 della L.n.1766/1927 non esclude la possibilità che gli stessi siano gravati da usi civici”.
Successivamente, il Commissario Usi Civici passa all'esame della sentenza della Cass. S.U. n. 8673/1995 evidenziando che: In tema di usi civici, con l'approvazione della concessione di legittimazione e la conseguente trasformazione in allodio del bene gravato dall'uso civico, l'occupante acquista su di esso un diritto soggettivo di natura reale, la cui tutela è devoluta all'AGO, mentre, il privato, il quale denunzi che l'atto amministrativo di concessione abbia leso la propria situazione soggettiva resta portatore di un interesse legittimo, azionabile davanti al giudice amministrativo.
Ebbene, scrive il Commissario al riguardo “si rileva come, in sintonia con quanto sopra  esposto, i giudici di legittimità pongono in relazione l'allodio con l'assenza di civica demanialità e distinguono da esso il diritto soggettivo derivante dalla concessione di legittimazione. Tale diritto viene riconosciuto di natura reale, ma non viene equiparato alla proprietà. Si tratta di un diritto reale a sé stante epperò tipico, in quanto costituito ai sensi  degli artt. 9 e 10 della L.n.1766/1927. Esso ha indubbiamente aspetti riconducibili alla proprietà come l'enfiteusi e l'uso, ma non può essere assimilato a nessuno dei tre. Si tratta dunque di un diritto reale determinato originariamente dall'atto amministrativo di concessione. Il legittimato deve poi corrispondere al concedente un canone definito dalla legge “di natura enfiteutica”. Proprio da tale dizione si desume che non si tratta di enfiteusi, ma di qualcosa ad essa accostabile epperò sicuramente non di piena proprietà, che è inconcepibile con la sottoposizione ad un canone gravante sul bene. Solo l'affrancazione porterebbe alla piena titolarità; affrancazione che, se consiste in un diritto potestativo del concessionario, costituisce, fino a quando non si verifichi, una condizione negativa, ostativa, della proprietà piena”.
Inoltre, sempre nella succitata sentenza, in merito alle legittimazioni precedenti al 1927 (dette anche conciliazioni), si afferma che "alla conciliazione seguiva una colonia perpetua; questa ha come caratteristica  essenziale la finalità migliorativa del fondo" (pag. 11); "Si vede quindi come la colonia perpetua comporti non solo l'obbligo di un canone denominato livello, ma soprattutto quello di migliorie,[...] determinando l'esistenza di un obbligo che limita in maniera cospicua il diritto soggettivo" (pag.12); "La presenza di tale obbligo ridimensiona così tanto il diritto soggettivo da far dubitare, alcuni, della sua natura reale" (pag.12); "è indubbio che la presenza di quegli obblighi costituisce una sorta di proiezione dell'originaria civica demanialità dei beni. Di proiezione però si tratta e non di presenza attuale del vincolo di demanialità, poiché questo venne meno con l'approvazione della conciliazione" (pag.12); [...] In conclusione i beni di cui si tratta non fanno più parte del civico demanio per essere stato conciliato il possesso ad un privato sin dal 1872; tuttavia la conciliazione del possesso non si traduce nella costituzione di un diritto di proprietà, bensì di un diritto reale limitato, segnato dagli obblighi di coltivare il terreno, migliorarlo e di pagare il canone" (pag. 12). In definitiva, le legittimazioni/conciliazioni precedenti al 1927, avendo anche l'obbligo di migliorie, sono ancora più restrittive rispetto alle legittimazioni successive al 1927.
Per una copia integrale della Sentenza scrivere a demaniocivico@gmail.com.

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