11/20/2008

Devoluzione

Nel caso di Enfiteusi di cui al Codice Civile, al concedente spetta il diritto di domandare al giudice la devoluzione del fondo (art. 972 C.C.), ossia l'estinzione del diritto di enfiteusi:
- se l'enfiteuta non adempia l'obbligo di migliorare il fondo;
- se non paga due annualità di canone.

Per quanto riguarda invece i terreni del demanio civico privatizzati (allodiali), in determinati e precisi casi specifici, possono rientrare nella consistenza demaniale.

Con le quotizzazioni precedenti all'entrata in vigore della Legge 1766 del 1927, il demanio civico si trasforma in allodio nel momento della quotizzazione (ai sensi dell'art. 9 della Legge 01/09/1806 confermato dall'art. 4 del Regio Decreto 08/06/1807 e dall'art. 32 del Regio Decreto 03/12/1808, riconfermato dall'art. 182 della Legge 12/12/1816), e vengono imposte tre condizioni che le leggi e la giurisprudenza definiscono "risolutive" in quanto, se non rispettate, operano la devoluzione dei fondi nella consistenza demaniale: 

1) non vendere il terreno nei primi 10 anni (art. 31 del Regio Decreto 03/12/1808 confermato dall'art. 185 della Legge 12/12/1816), limite poi portati a 20 anni dall'art. 1 del Regio Decreto 06/12/1852; 

2) pagare il canone (articoli 4 e 9 della L. 01/09/1806, art. 4 del Regio Decreto 08/06/1807, art. 182 della L. 12/12/1816); "si darà luogo alla devoluzione dei fondi conceduti pel reddito non pagato per un triennio" (art. 32 del Regio Decreto 03/12/1808 in attuazione della Legge 01/09/1806); 

3) le quote che si lasciano incolte per tre anni consecutivi ritornano al demanio comunale (art. 185 della Legge 12/12/1816).

Esclusa la prima condizione (termine dei 20 anni) che ha ormai concluso il suo effetto essendo trascorsi i 20 anni (tale condizione è stata già verificata nelle successive istruttorie demaniali), le altre due condizioni sono tuttora in vigore (con l'art. 1 del Regio Decreto 03/07/1861 e con l'art. 5 del Regio Decreto n. 503 del 10/03/1862 sono confermate e considerate valide tutte le leggi pubblicate dal 01/09/1806 in poi); lo confermano la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro n. 52 del 20/07/1900 e tre sentenze di Cassazione (Cassazione Napoli, 25/09/1902, Comune Melicucco c. Bruno, Corte Napoli, 1903, 41; Cassazione, 21/01/1936, n. 238, Giur. it., 1936, I, 1, 663; Cassazione, 23/06/1936, n. 2157, Comune Cancello Amone c. Migliaccio, Giur. it., Mass. 1939, 607). 

Se pure con le quotizzazioni precedenti al 1927 sono stati assegnati i terreni in proprietà, la Cassazione nel 1902 ricorda che trattasi "di un diritto reale sui generis, in quanto anche a questa concessione si estende la comminatoria della devoluzione che fa rivivere l'antico diritto dell'università". 

Per il Comune sarà sufficiente richiedere in un giudizio dinanzi al Commissario agli usi civici il riconoscimento della demanialità dei terreni interessati per canone non pagato per un triennio in virtù dell'art. 32 del R.D. 03/12/1808 e di tutte le successive sentenze.

Secondo l’art. 32 del RD 03/12/1808 “I cittadini concessionari, qualunque sia stato il modo di divisione, saranno riguardati come padroni delle quote loro spettate, e godranno di tutta la pienezza del dominio e della proprietà, con farne liberamente uso, salve le eccezioni espresse nell’articolo precedente. Saranno però tenuti alla corresponsione del reddito, e si darà luogo alla devoluzione dei fondi conceduti pel reddito non pagato per un triennio. I fondi devoluti saranno riconceduti a quelli dei concessionari, che saranno giudicati i migliori coltivatori”. 

Tale principio è confermato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 238/1936 in base alla quale “verificatosi un fatto violatore delle norme di pubblico e sociale interesse ed operante quale una condizione risolutiva, e cioè verificandosi il mancato pagamento del canone per un triennio, … la conseguenza caratteristica e fondamentale è che le quote ritornano di diritto, ope legis et sine ministerio iudicis, al demanio comunale, il cui diritto è perfetto, non appena insorge uno dei fatti ritenuti lesivi delle finalità sociali della quotizzazione”; in tale sentenza si sottolinea anche il “pubblico e sociale interesse” che riveste il pagamento del canone a favore del Comune che rappresenta l’Ente gestore della collettività.

Con la L. 1766/1927 non vengono contrastate le precedenti disposizioni, anzi ne viene confermato il valore: l’art. 42 della L. 1766/1927 recita: “Restano ferme tutte le disposizioni in materia di usi civici, demani comunali e diritti della natura di cui all'art. 1 che, attualmente vigenti, non siano contrarie a quelle contenute nella presente legge”. In combinato disposto con l’art. 24 della stessa legge (“Il capitale di affrancazione dei canoni per effetto di liquidazione di diritti, per legittimazione di occupazioni, per quotizzazione, sarà investito in titoli del debito pubblico intestati al Comune, alla frazione od alla associazione, con vincolo a favore del Ministero dell'economia nazionale, per essere destinato in caso di bisogno, ad opere permanenti di interesse generale della popolazione”) è possibile rilevare che il legislatore non ha voluto regolamentare solo le nuove legittimazioni e affrancazioni, bensì ha inteso vincolare ad opere di pubblico interesse i capitali di affrancazione di tutti i canoni imposti sul demanio civico.

Ai sensi dell'art. 54 del RD 03/07/1861, come confermato dalla Ministeriale del 10/08/1862 (Istruzioni per le operazioni demaniali), sulle colonie perpetue inamovibili grava la stessa tipologia di canone imposta dagli artt. 182 e 183 nelle quotizzazioni di cui alla Legge 12/12/1816; lo stesso dicasi per le conciliazioni adottate ai sensi dell'art. 51 del RD 03/07/1861 e dell'art. 30 del RD 10/03/1810 in quanto alla conciliazione seguiva una colonia perpetua con finalità migliorativa del fondo (art. 30 RD 10/03/1810); anche in questi casi è prevista la devoluzione di cui all'art. 32 del RD 03/12/1808.

1 commento:

  1. Buongiorno,
    "la conseguenza caratteristica e fondamentale è che le quote ritornano di diritto, ope legis et sine ministerio iudicis, al demanio comunale": a leggerlo così, per il semplice fatto che si sia avverato almeno uno dei casi descritti ai punti 2) e 3), masse enormi di quote create fino al 1927, diciamo pure quasi tutte, sono di fatto tornate ad essere demaniali "inavvertitamente", in un qualche imprecisato momento collocabile tra l'Ottocento ed oggi, nella completa incoscienza, sia di chi ritiene di esserne il proprietario, sia dei Comuni...è corretto? Se è così, all' attuale "proprietario" è preclusa anche la possibilità di fare affrancazione, se prima non ottiene un provvedimento di legittimazione, giusto? Grazie.

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